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I festeggiamenti in onore di Sant’Antonio da Padova sono certamente i più sentiti dagli abitanti di Arbus, che danno il medesimo nome alla festa e alla località in cui i festeggiamenti hanno luogo: Sant’Antonio di Santadi, la frazione posta all’estremità nord del territorio - nota come Piano di Santadi - a ridosso degli stagni di Marceddì, nel tratto meridionale del golfo di Oristano. La festa si svolge a metà del mese di giugno e dura quattro giorni consecutivi (dal sabato successivo al 13 giugno fino al martedì successivo) e consiste in una processione fatta da gruppi in costume sardo, cavalieri e le “traccas”, i carri a buoi della tradizione contadina addobbati a festa, che accompagnano il simulacro del santo per tutti i circa 38 km che portano al luogo dei festeggiamenti.

La processione inizia ad Arbus il sabato mattina, attraversa il centro di Guspini e giunge fino alla frazione di Sant’Antonio di Santadi, a 3 chilometri dalla spiaggia di Pistis. Qui la festa prosegue per tutta la domenica e il lunedì, mentre il martedì la processione effettua il percorso inverso per riportare il simulacro del santo ad Arbus, dove arriva la notte, salutato da uno spettacolo pirotecnico.


Verso la metà di Agosto, presso l’anfiteatro comunale, si tiene la Sagra della Capra, evento che richiama ogni anno un pubblico numeroso. Nella manifestazione sono in genere previsti dibattiti, laboratori, spettacoli musicali, oltre che la degustazione di carni caprine provenienti da allevamenti arburesi e cucinate secondo la tradizione locale.


È così che l’ultima domenica e il martedì di Carnevale, ogni anno, Oristano diventa capitale della Sardegna. C’è la Sartiglia. Festa dai mille simboli, festa della magia, della prosperità e della miseria, del dolore e della speranza.
Da Via Sant’Antonio, passando per il Duomo, sino a Via Vittorio Emanuele e Piazza Mannu, un fiume di persone, provenienti dalle città e dai paesi di tutta l’isola, si accalca ai bordi di un tracciato di terra e paglia. Ad ogni edizione, su quel percorso pestato dagli zoccoli dei cavalli si riversano secoli di storia. E un fragore di urla e applausi guida le gesta del cavaliere, quando la spada trafigge la stella.
La Sartiglia non è una semplice celebrazione dei riti carnascialeschi, non è nemmeno la riproduzione di una giostra medioevale, né una mera esibizione di audaci e aitanti cavalieri. Dentro la Sartiglia convivono elementi di tradizione e cultura tramandati da centinaia d’anni. In questa manifestazione, che ad Oristano è vissuta con intensità emotiva indescrivibile sin dai tempi del Giudicato d’Arborea, sopravvivono probabilmente alcuni degli aspetti più interessanti e inesplorati della ritualità pagana, contaminata dai cerimoniali di origine cristiana.
I tamburi rullano incessantemente, il cavaliere ha indosso la Maschera di un Dio misterioso e impugna la spada tenendola dritta davanti a sé. Si leva in piedi sulla sella mentre il cavallo sfreccia a perdifiato sulla pista, al galoppo sfrenato. Pochi secondi dopo, il boato del pubblico accompagna la punta del fioretto che infilza la stella. È fatta. La gente acclama Su Cumpoidori ed esulta davanti a quel trofeo mostrato con orgoglio e vanto.

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